L'ARTE RACCONTATA AI COMPAGNI

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Traccia per la narrazione di Giugno . 2017
arteideologia raccolta supplementi
made n.14 Ottobre 2017
LA RIPRESA DELLE OSTILITÀ
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Elementi e complementi . (preludio)


Due forme della produzione immateriale

Per affrontare la questione della produzione artistica con la nostra teoria dovremmo forse procedere con dei capitoli relativi a “produzione materiale e immateriale”, “produzione produttiva e improduttiva”, “spese di rappresentanza del capitale” ossia lo sperpero e il lusso, ecc. ecc., ma per il momento vogliamo limitarci a quanto dice Marx al proposito di una distinzione del lavoro immateriale:

Nella produzione non materiale, anche quando è esercitata unicamente per lo scambio, cioè quando produce merci, sono possibili due casi:
1) Essa ha per risultato merci, valori d'uso, che possiedono una forma indipendente, distinta dal produttore e dal consumatore; che quindi possono consistere in un intervallo fra produzione e consumo, possono circolare come merci vendibili in quest'intervallo, come nel caso dei libri, dei quadri, in breve di tutti i prodotti artistici che hanno una esistenza distinta dalla prestazione dell'artista che li eseguisce. In questo caso, la produzione capitalistica non può trovare che un'applicazione molto limitata. In quanto, per esempio, uno scrittore sfrutta per un'opera comune - una enciclopedia per esempio - tutta una serie di collaboratori. Qui si resta per lo più alle forme di passaggio verso la produzione capitalistica: i diversi produttori scientifici o artistici, artigiani o [intellettuali], lavorano per un capitale compratore comune, l'editore. E’ un rapporto che non ha niente a che fare con il modo di produzione capitalistico propriamente detto e che anche formalmente non può ricondursi a esso. Il fatto che in queste forme di transizione lo sfruttamento del lavoro sia intensificato al massimo, non cambia niente alla cosa.
2) La produzione non è divisibile dall'atto del produrre, come nel caso di tutti gli artisti esecutori, attori, insegnanti, medici, preti, ecc. Anche qui il modo di produzione capitalistico si attua in un ambito ristretto e non può aver luogo, per la natura delle cose, che in alcune sfere. Negli istituti d'istruzione, per esempio, gl'insegnanti possono essere semplici salariati dell'imprenditore dell'istituto, come è frequentemente il caso in Inghilterra. Benché rispetto agli alunni essi non siano lavoratori produttivi, lo sono rispetto al loro imprenditore. Questo scambia il suo capitale con la loro forza-lavoro e si arricchisce mediante questo processo. Lo stesso si può dire per le imprese teatrali, i locali di divertimento, ecc. Per il pubblico è un artista, ma per il suo imprenditore l'attore è un lavoratore produttivo. Tutti questi fenomeni della produzione capitalistica in questo campo sono così insignificanti, paragonati all'insieme della produzione, che possono essere completamente trascurati. [21]
Come potremmo facilmente constatare scorrendo i programmi di gallerie, Musei, Biennali e fiere d’arte, che puntualmente propongono performance, azioni, videofilmati ed ogni altra registrata o viva prestazione di artisti visivi, questa canonica divisione della “produzione immateriale” tra prodotti divisibili e indivisibili dall’atto del produrli è sostanzialmente saltata, soprattutto tra le diverse arti figurative classicamente intese (pittura, scultura, architettura).
Il prodotto "reale" di molti lavori artistici non consiste più in un particolare oggetto ma nell’esecuzione stessa o in un processo realizzativo, e si consuma esclusivamente durante una viva prestazione dell’artista stesso o di altri incaricati ad eseguirla.
Tuttavia oggi è possibile riprodurre in immagine anche gli avvenimenti, in forma analogica o digitale; ed è in queste forme  succedanee che tali prestazioni possono ritrovare una qualche apparenza di manufatti indipendenti dal “reale prodotto” dell’artista-esecutore.
Per fare un esempio concreto; una performance di Marina Abramovic non è separabile dall’artista che l’ha realizzata con la propria persona; allora magari un “collezionista” si compra una fotografia istantanea dell’evento avvenuto, firmata e autenticata dall’artista che ha eseguito o è autore della performance.[22]
A questo punto possiamo domandarci quale sia il prodotto reale del lavoro di questa artista: la prestazione “non separabile” dalla sua persona o una serie di fotografie “separabili” dalla sua prestazione, o anche tutte insieme queste forme? - giacché è anche così che si attua quella crescita esponenziale di forme e immagini che rendono il “barile troppo pieno” e pronto ad esplodere...
La teorica separabilità sismondiana dell’ombra dal corpo trova nella riproducibilità tecnologica delle immagini le forme pratiche per possedere l’immagine dell’opera separatamente dal suo vero corpo, ma fa vacillare e rende problematico il riconoscimento stesso dell’oggetto artistico.
In realtà, lo sviluppo dell’arte visuale degli ultimi decenni ha preso una direzione decisa a rompere e superare i limiti del quadro e negare l’oggetto; dunque alla nostra domanda si dovrebbe rispondere che il prodotto consiste nello svolgersi della prestazione... se non ci fosse un mercato che tuttavia richiede oggetti concreti di cui fare commercio?
Non è così semplice e non è certo tutto qui; fatto sta che con gli sviluppi recenti dell’arte visuale è venuta meno la distinzione classica tra le due forme della produzione non materiale... E che questo venir meno delle forme classiche dell’arte valga anche per altre diverse forme sociali, è per noi un dato significativo per ben altre cadute e capovolgimenti sociali.
Ben altre categorie e paradigmi tradizionali stanno sempre più venendo meno; e tutto finora lascia credere che anche la dibattuta fragilità dell’oggetto estetico prelude alla definitiva dissoluzione dell’arte stessa (almeno per come viene intesa tuttora) e della società da cui emana.
E non è affatto paradossale che sempre più numerosi milioni di spettatori affollano i luoghi in cui vedere gli oggetti dell’arte, siano indiscutibili che problematici. In queste folle i critici militanti dell’arte ci vedono la prova di un incrollabile amore per l’eternità dell’arte, quando forse è solo un istinto becchino a manovrarle... 



Sulla presunta ovvietà delle cose elementari

Quando si parla di pittura, di scultura, di architettura voi tutti immaginate immediatamente i tipi di manufatti di cui si parla. Ma non vogliamo che pensiate ai grandi capolavori; ognuno di noi ha in casa questo tipo di oggetti e vive la propria vita attraversando ambienti architettonici. Di tutte queste cose non ci interessa il loro “valore” di scambio sul mercato, ma il valore d’uso che questi prodotti hanno per gli uomini. Se solo ci liberassimo dell’ossessione per il loro valore sul mercato dell’arte, e che frulla nelle teste appena nominiamo qualche grande artista, potremmo guardare all’opera d’arte come proveniente da un passato talmente remoto che ha cancellato il ricordo e il nome del suo artefice, ed iniziare a vederla in sé, non più come un messaggero con in tasca dispacci su imprese svolte altrove, nella natura o nella storia...  
Ho visto un brillante documentario di oltre un’ora sul pittore tedesco Hanz Holbein il Giovane, che per un’ora mi ha riferito dettagliatamente delle vicende amorose e politiche di Enrico VIII (che mandava questo pittore in giro per l’Europa per poter avere a Londra i ritratti delle nobildonne da sposare), ma per nulla della particolare specificità delle opere di pittura che si avvicendavano sullo schermo.
L’unica riflessione pertinente sulla pittura che si poteva trarre da quel filmato, uno se la doveva procurare per proprio conto; e magari poteva anche consistere, ad esempio, nell’osservazione che quel magnifico pittore di ritratti non sarebbe affatto esistito se nella prima metà del ‘500 ci fosse stata la fotografia... ma che forse neppure la fotografia sarebbe poi esistita senza prima la prospettiva in pittura...

In generale la riflessione sulle forme della vita umana, e quindi anche l’analisi scientifica di esse, prende una strada opposta allo svolgimento reale. Comincia post festum e quindi parte dai risultati belli e pronti del processo di svolgimento. Le forme che danno ai prodotti l’impreonta di merci e quindi sono il presupposto della circolazione delle merci, hanno già la solidità di forme naturali della vita sociale, prima che gli uomini cerchino di rendersi conto, non già del carattere storico di queste forme, che per essi sono anzi ormai immutabili, ma del loro contenuto.[23]

Il fatto che solitamente si parte da oggetti “bell’e fatti” (e l’Arte è lei stessa una nozione belleffatta), paradossalmente ci impedisce di vederli: già si sanno in partenza; e poiché «non c’è niente di più noioso e arido che le fantasticherie su un locus communis»[24], non se ne parla più e si lascia che questi oggetti parlino per noi.
Dato che la società capitalistica trasforma ogni cosa in merce, pensare all’opera d’arte come ad una semplice merce non poteva rimanere un’idea singolare, così è diventata un luogo comune di molti studiosi e teorici dell’arte - proprio come lo è stato la mercificazione dell’arte tra gli intellettuali-artisti organici degli anni 50-70 del secolo scorso.
Su certe pagine del Capitale si dovrebbe mettere un cartello di avviso: ATTENZIONE ! MANEGGIARE CON CURA.
Abbiamo gia parlato della difficoltà di definire in termini filosofici l’essere dell’opera d’arte, ossia: che cosa potesse distinguere un’opera d’arte da un oggetto comune – così, ad esempio, si riassume la domanda che Arthur C. Danto [25] si era posta nel 1964.[26]
E’ però significativo notare che la formulazione di questa domanda non provenga dall’astratta speculazione filosofica, ma in seguito alla pratica esperienza di una visita alla Stable Gallery di New York, dove il filosofo dell’arte vede esposte per la prima volta le Brillo Boxes di Warhol, realizzate in maniera del tutto simile alle omonime scatole di spugnette abrasive.
Ecco proprio un ennesimo caso in cui si parte da “cose belleffatte”; ed è anche l’ennesima dimostrazione che il pensiero viene alla fine, a cose praticamente già risolte... dal direttore della Stable Gallery, da Handy Warhol e dal mercato dell’arte - già bell’e pronto ad accoglierle.
Ma questo rilievo non è filosoficamente corretto... 
Di fronte ai giochi già fatti, la domanda giusta da porsi non riguarda natura ontologica dell’oggetto artistico, ma l’interrogarsi sulle circostanze reali che hanno determinato la formulazione stessa della domanda, ossia: come mai ad un certo momento storico si è verificata una confusione nella classificazione delle serie degli oggetti reali del mondo?
Noi presumiamo di trovare facilmente la risposta nella loro generale mercificazione; ma possiamo anche ricominciare daccapo, e a domanda: Che cosa distingue un’opera d’arte da un oggetto comune del tutto identico?... rispondere: Proprio nulla! 
Eliminata la questione e invalidato il problema si guadagna un mondo pieno zeppo di opere d’arte, ossia di merci e piaceri estetici in libera uscita.
Non era questo il programma del Futurismo e del Dadaismo?...

Dunque a noi potrebbe apparire sufficiente attribuire la difficoltà dei teorici dell’arte alla “semplice” trasformazione dell’opera d’arte in merce (per quanto possa essere semplice una tale marasmatica trasformazione); ma la metamorfosi non sarebbe stata possibile senza un carattere comune capace di stimolare, anche da parte della merce in generale,  il piacere estetico che si richiedeva all’arte.
Nella merce dobbiamo dunque rintracciare un particolare carattere che ci desse qualche possibilità per rispondere in termini attuali alla considerazione fatta da Marx a proposito delle opere d’arte greca, e che proviamo a parafrasare in questi termini:

Ma la difficoltà non sta nell'intendere che l'arte contemporanea è legata a certe forme dello sviluppo sociale capitalistico. La difficoltà è rappresentata dal fatto che esse, nonostante la trivialità della loro natura di merci, riescono a suscitare in noi un godimento estetico anche senza costituire, sotto un certo aspetto, una norma e un modello inarrivabili... [27]

Ed ecco cosa ci dice della merce:

A prima vista una merce sembra una cosa triviale, ovvia. Dalla sua analisi, risulta che è una cosa imbrogliatissima, piena di sottigliezza metafisica e di capricci teologici. [28]

Aura che va, aura che viene. Tramontata l’aura sacrale [29], adesso sembra essere la volta dell’aura feticistica della merce a circonfondere l’opera d’arte e la merce, e a farle ballare entrambe come i tavolini cinesi di Marx.
E qui ci fermiamo, per non addentrarci in faccende di appealfeticismo delle merci, che abbiamo voluto toccare solo per mostrare la complessità delle implicazioni che comporta l’analisi di oggetti semplici e “ovvi”, intesi sempre con la certezza di sapere tutto delle cose di cui parliamo, siano  queste l’arte o il lavoro - di cui ancora Marx dice

...Il lavoro sembra una categoria del tutto semplice. Anche la rappresentazione del lavoro... è molto antica. E tuttavia, considerato in questa semplicità dal punto di vista economico, “lavoro” è una categoria tanto moderna quanto lo sono i rapporti che producono questa semplice astrazione.[30]

Che il lavoro di cui ci interessiamo al momento debba essere colto dal punto di vista estetico, non semplifica affatto le cose, tuttavia avvicina i due ambiti: l’artistico e l’economico, unificando problematiche e soluzioni.
Forse una tale unificazione può apparire forzata e troppo meccanica, ma è sempre più promettente dall’accampare l’arte fuori dai rapporti materiali, da dove non troveremo modo di impostare una risposta attendibile e concorde con la nostra visione delle cose, che invece ci fornisce una indicazione pratica anche riguardo una condizione generale dello stato delle cose che consente ad una semplice scatola di spugnette saponate di manifestare una propria natura estetica:

...il contegno reale pratico dell’operaio nella produzione e rispetto al prodotto (come stato d’animo) si presenta nel non-lavoratore, che gli sta di fronte, come contegno contemplativo (theoretisches).[31]

Non abbiamo il tempo di svolgere questi punti come vorremmo, ma se immaginerete di poter mettere in una scatola alienazione, feticismo e insipienza, intuirete facilmente come tutte le merci possano prendere a scintillare e farsi belle agli occhi dell’estimatore d’arte [32] tanto quanto 90 barattoli di merda in scatola.[33]



Separazioni

L’Arte è anche lei una categoria semplice e antica; ma è una categoria tanto moderna quanto lo sono i rapporti che l’hanno prodotta in questa sua attuale semplicità. Ed è così modernamente semplificata che i filosofi di estetica, come abbiamo visto, da diversi decenni ancora cercano, a partire dall’enigma celato nella produzione artistica attuale, di definire i caratteri e la natura (ontologica [34]) dell’oggetto estetico-artistico,  che invece continua ad essere proteiforme e sgusciargli tra le mani; ad apparire dove non dovrebbe, a scomparire quando non dovrebbe: animato da sottili capricci metafisici e teologici - appunto.
Il repertorio delle loro ipotesi per definire un oggetto artistico è variamente rappresentato da illustri  esponenti: una miniera a cielo aperto che non è qui il momento di perlustrare.
Bisognerebbe piuttosto aprire diversi capitoli circa i rapporti delle specificità del linguaggio proprio dell’arte con i caratteri sociali della merce [35]; ma quando si parla di “estetica diffusa” si dice forse qualcosa che sia più risolutivo del porre l’enigma del feticcio artistico come enigma del feticcio merce e risolvere l’uno con l’altro?
Per il momento ci basta considerare che, come il modo di produzione capitalistico ha potuto conoscersi tramite la sua negazione, così la particolare produzione artistica inizia a conoscere sé stessa tramite la negazione dei tradizionali paradigmi (imitazione figurale della natura e dei corpi, rappresentazione realistica o fantastica, ecc.), aiutata in questo conoscersi proprio dalla concomitanza storica con gli sviluppi della produzione moderna-industriale delle merci.
Tra l’altro, anche la disciplina della storia dell’arte e l’idea stessa di una simile storia, ha la sua data di nascita nella metà del XIX secolo.
Ed è per dire che tutte le faccende di cui parliamo appartengono spiritualmente e sono ancora irrimediabilmente intrise dell’ideologia borghese che aveva già d’allora raggiunto i suoi massimi risultati - figuratevi dunque se oggi non vale tanto più per il pensiero artistico corrente quanto diceva Bordiga della scienza: sono gli ultimi risultati, i più moderni, che sono i più fetenti e i più insidiosi.[36] 
Sappiamo tutti che l’era del macchinismo porta anche all’occhio la sua macchina, e così lo sguardo stesso si oggettivizza come fotografia, per riprodurre all’infinito l’immagine di un istante.
Come il commercio ha separato l’ombra dal corpo e ha introdotto la possibilità di possederli separati (Sismondi citato da Marx), così la macchina industriale ha separato l’ombra del lavoro dal corpo dell’uomo. Anche la determinata produzione che chiamiamo artistica viene separata dall’artefice, dalle sue abilità personali o uniche [37] e, avvia una serie aperta di separazioni e differenziazioni (che però tralasciamo di trattare).
Se le opere dell’arte moderna potessero parlare, direbbero grosso modo ciò che direbbe la merce nella stessa ipotesi fantasiosa proposta da Marx:

... il nostro valore d’uso può interessare gli uomini. A noi, come cose, non compete. Ma quello che, come cose, ci compete, è il nostro valore. Questo lo dimostrano le nostre proprie relazioni come cose-merci. Noi ci riferiamo reciprocamente l’una all’altra soltanto come valori di scambio.[38]
L’arte divenuta merce si separa per sempre anche da certe funzioni banalmente “utilitaristiche” per cui riteniamo fosse nata, e inizia ad occuparsi di ciò che più strettamente la riguarda; procede cioè a separare tra loro i singoli elementi che la compongono: la forma dalla parola, il contorno dalla figura e questa dallo sfondo, il colore dall’immagine, lo sguardo dal racconto, l’occhio dall’orecchio...

Sia chiaro che stiamo parlando in termini generali e vaghi avendo però in mente momenti reali, circostanze critiche e anche opere specifiche, ben precisati e definiti nella storia dell’arte moderna e contemporanea.[39] 
La separazione dell’ombra dell’opera dal suo corpo ha dato all’arte la possibilità pratica di conoscere concretamente sé stessa, la sua propria anatomia con i singoli elementi che la compongono, il campo dei fenomeni visuali e i particolari sistemi che la governano nella produzione dei suoi oggetti.
Gli sviluppi successivi di questo processo di specificazione lasciano credere che anche l’arte si sia infine autonomizzata e segua una propria spinta evolutiva dietro la quale gli uomini arrancano malamente per continuare a governarla. Il fenomeno non dovrebbe sorprenderci, dato che sappiamo come altre forme sociali hanno rotto i loro limiti tradizionali e si sono autonomizzate dalle cose degli uomini, ma restano tra le grinfie del Capitale (lui stesso autonomizzato) la cui esistenza, una volta operate le scissioni, rappresenta ora l’unico intralcio per raggiungere un livello superiore tanto  della società come dell’arte.
Veramente su certe pagine del Capitale si dovrebbe mettere il cartello di avviso “Maneggiare con cura”. Molti di coloro che si sono occupati di arte, hanno infatti attinto volentieri al Libro primo, specialmente al capitolo 2, quello appunto dedicato al carattere di feticcio della merce e al suo arcano (anche questa è una piccola capitolazione del pensiero borghese, i cui risultati andrebbero vagliati meglio e al netto delle conclusioni ideologicamente determinate).
Ma, nonostante l’invito alla cautela, noi vogliamo appuntare qui solo un brano da tener bene a mente:
 
Il contegno degli uomini, puramente atomistico nel loro processo sociale di produzione, e quindi la figura materiale dei loro propri rapporti di produzione, indipendente dal loro controllo e dal loro consapevole agire individuale, si mostrano in primo luogo nel fatto che i prodotti del loro lavoro assumono generalmente la forma di merci. Quindi l’enigma del feticcio denaro è soltanto l’enigma del feticcio merce divenuto visibile e che abbaglia l’occhio.[40]

In definitiva – ha confessato recentemente uno stimato professore di estetica – siamo oggi nella condizione di affermare che un’ontologia statica ed essenzialista ci rivela ben poco di cosa concretamente sia un oggetto estetico mentre ci dice tanto sulla fragilità teorica di una sua definizione”.
In pratica dice di non poter distinguere l’oggetto concreto della sua analisi... ed è ovvio che senza una definizione dell’oggetto l’osservazione è fragile.
Se ora invece, quest’oggetto (estetico) equivale ad una merce (di cui sappiamo concretamente e teoricamente tutto, o quasi) possiamo utilizzare l’analisi della merce per svolgerla nell’analisi dell’oggetto estetico, e ridurre gli alti gradi di fragilità teorica lamentata dal professore. 
Se è vero, come è vero, che il modo capitalistico di produrre trasforma ogni cosa in merce, anche l’enigma dell’oggetto artistico-estetico è soltanto l’enigma del feticcio merce divenuto visibile e che abbaglia anche l’occhio...  di filosofi, antropologi e sociologi che tentano di definire un prodotto del lavoro umano solo per via filosofica.
Sappiamo tutti dove conducono queste pagine del Capitale: 

La società borghese è la più complessa e sviluppata organizzazione storica della produzione. Le categorie che esprimono i suoi rapporti e che fanno comprendere la sua struttura, permettono quindi di penetrare al tempo stesso nelle strutture e nei rapporti di produzione di tutte le forme di società passate, sulle cui rovine e con i cui elementi essa si è costruita, e di cui si trascinano in essa ancora residui parzialmente non superati, mentre ciò che in quelle era appena accennato si è sviluppato in tutto il suo significato ecc. L’anatomia dell’uomo è una chiave per l’anatomia della scimmia. Invece, ciò che nelle specie animali inferiori accenna a qualcosa di superiore può essere compreso solo se la forma superiore è già conosciuta. L’economia borghese fornisce così la chiave per l’economia antica ecc.[41] 

Scendendo di scala, dalla generale produzione sociale alla particolare produzione artistica, le cose non possono cambiare del tutto, anche se possono complicarsi per la presenza attiva negli oggetti d’arte di quei “residui parzialmente non superati” (culti religiosi, caratteri sacri, miti, narrazioni, leggende ecc.) che trovano tuttora una base concreta su cui poggiare,  grazie appunto al carattere feticistico della merce con tutto il suo arcano, che si trasfonde breviter come mistero devozionale nella creazione artistica dell’epoca della merce...

Rinascimenti elettronici o anticipazioni computazionali?

Come per la scimmia l’uomo, così anche per l’arte del passato l’arte attuale ci fornirebbe la chiave per la sua anatomia.
Soprattutto prestiamo attenzione alla parte in cui Marx dice che anche ciò che nell’arte del passato

accenna a qualcosa di superiore può essere compreso solo se la forma superiore è già conosciuta [42]

E noi, se passiamo dalla zoologia all’arte, questa forma “superiore”, in quanto attuale, la conosciamo e l’abbiamo quotidianamente sotto gli occhi, anche sulle pareti della stanza in cui ci troviamo; ci guardiamo attorno e vediamo delle riproduzioni di opere d’arte indiscusse: dipinti di  Malevich, di Pollock, di Vedova....
Ma questi sono ancora dei dipinti che si mostrano ancora nel loro aspetto classico, analogo a quelli visti dal nostro compagno nella mostra Rinascimento Elettronico dell’artista americano Bill Viola.
Lì le tele e le tavole dipinte del rinascimento si contrapponevano a degli schermi, anch’essi bidimensionali, che replicavano le scene dipinte infondendo movimento a quanto nel dipinto è fisso come figura e come narrazione.
Per quanto differenti da dipinti e affreschi, in queste opere “elettroniche” sussiste ancora un dispendio di laboriosità e mediazione tecnica che non ci fa esclamare facilmente - come vedendo le riproduzioni di opere d’arte che sono in questa sala - uno sprezzante: 
- Quadri così li so fare anche io! [43]
Non ci sarebbe piuttosto da compiacersi dicendo, ad esempio:
- Quest’arte astratta la sanno fare tutti?... Benissimo! Questo vuol dire che la rivoluzione marcia anche sul fronte dell’arte... [44]
Non ripetiamo infatti con Marx  che

...nella società comunista, in cui ciascuno non ha una sfera di attività esclusiva ma può perfezionarsi in qualsiasi ramo a piacere, la società regola la produzione generale e appunto in tal modo mi rende possibile di fare oggi questa cosa, domani quell’altra, la mattina andare a caccia, il pomeriggio pescare, la sera allevare il bestiame, dopo pranzo criticare, cosi come mi vien voglia; senza diventare né cacciatore, né pescatore, né pastore, né critico ...? [45]

E’ forse possibile questa anticipazione senza l’abolizione della divisione sociale del lavoro, e questa abolizione senza una distribuzione sociale allargata delle abilità individuali?
Ebbene, intanto l’arte moderna si è fatta carico di rendere vano ogni apprendimento personale di canoni, facoltà realizzative, abilità manuali, ecc., annullando così ogni esitazione a partecipare indifferentemente ad una qualsiasi impresa commerciale, finanche artistica. Il talento per un particolare mezzo espressivo è stato al presente sostituito da una più generica abilità - indifferente ad ogni qualsiasi modo espessivo - nell’elaborare esclusivamente strategie di successo da perseguire con ogni mezzo, come impone la concorrenza...[46]
Si direbbe quasi che quel processo dissolutivo (e rivoluzionario) avviato dalla borghesia che sparge ai quattro venti i segreti produttivi delle corporazione medievali abbia esaurito oggi il suo compito storico, lasciando infine dell’Arte solo l’idea... della "riuscita". (Come previsto dalla sentenza hegheliana della morte dell’arte?... O resta pur sempre un incomprimibile elemento “barbarico” che consentirebbe all’arte di riavviare ogni volta i propri cicli, come prevede il pensiero vichiano?... Vedremo [47]).
Da questo “grado zero” delle abilità sarà più facile far riemergere, in una forma sociale superiore e per ogni membro dell’umanità, tutte ed ognuna delle abilità possibili e probabili, elevate al grado dell’efficienza complessiva.
l nostro approccio a tutta la questione è stato forse grossolano, ma efficace per indicare quantomeno l’origine concreta delle difficoltà in cui si trova attualmente il pensiero artistico, che, dopo un primo periodo in cui si è esercitato, anche ricorrendo a volte ad un qualche “marxismo”, ha poi abbandonato questa direzione di ricerca.
Se pensiamo però, che certi tipi di analisi hanno contribuito a produrre un pensiero controrivoluzionario come quello della mercificazione dell’arte, dobbiamo dire che è stato meglio così. Dopo, non si sono più avute, da parte di artisti e teorici, remore morali, “politiche” o ideologiche ad abbandonare l’arte nelle grinfie del Capitale; il quale, da parte sua, come abbiamo visto, ha potuto continuare a svolgere il suo compito “rivoluzionario” nel dissolvere tutti i paradigmi obsoleti dell’arte, senza comunque poter esprimere per sé stesso un’arte che desse una forma al suo mondo - come era accaduto per le epoche precedenti che si sono rappresentati il proprio mondo attraverso i rispettivi stili storici.
E’ probabile che non ci siano più le condizioni reali per esprimere una unica volontà artistica, o che al Capitale questa volontà sia estranea o anche avversa; ma è anche probabile che questa fase dell’epoca capitalistica abbia invece espresso anche lei il proprio mondo in forme artistiche unificate da uno stile che gli è specifico. Solo che magari ancora l’epoca stessa non ne ha coscienza, proprio perchè questo suo stile la pervade, resta implicito e non ha ancora dimostrato pienamente le sue potenzialità estetiche attraverso dei capolavori... che forse neppure ci potranno essere senza prima un rovesciamento dello stato di cose attuali e della loro prassi.
E’ probabile, cioè, che quest’epoca abbia trovato la sua massima modalità espressiva nell’irrappresentabilità della Rete; vale a dire in una forma senza forma. Dopo l’informale e l’informe, è la volta della nonforma?... allora uno sfondo, forse?... da dove l’oggetto artistico-estetico potrà emergere nei modi  computazionali di un mero procedimento, ossia di un algoritmo, che tutti ed ognuno potrà intercettare visivamente sulla ragnatela globale... 
Come poi da un tale ipotetico algoritmo estetico-artistico si possa trarre lo specifico piacere estetico è difficile da capire; ma intanto, sotto l’incalzare delle ibridazioni generate dalla rete, i sensi stanno riplasmando anche gli organi sensoriali  e dunque i piaceri...
Sarebbero dunque la rete la forma più sviluppata dell’arte? lo schermo e l’immagine digitale, le nuove icone realizzate nello stile dell’estinzione?...[48]
E queste forme, volute dalla tecnologia, rappresentano già forme artistiche future, non ancora sviluppate, confuse tra tutte le altre forme di società passate... che tuttavia sussistono, e sussisteranno, come vestigia del lavoro millenario dell’uomo?...
Sì. Decisamente su certe pagine del Capitale dovremmo proprio mettere l’avviso: maneggiare con cura. Ma siccome noi non siamo qui in pietà per compiangere l’Arte del passato o lodare quella del presente, ma per seppellirle tutte, ci possiamo anche perdonare certe intemperanze. 

Il fantasma dell'opera d'arte

Fin qui abbiamo tenuto conto di quanto ci eravamo promessi nell’introduzione: abbiamo dato uno sguardo all’arte visuale contemporanea e alla rottura dei suoi limiti classici e usuali, e ci siamo anche ripetutamente imbattuti in considerazioni circa il dimenarsi dell’arte tra le grinfie del Capitale. E’ però probabile che quanto detto finora possa apparire ai vostri occhi null’altro che un civettare dell’arte con il comunismo; fosse anche così, il fatto di averci provato con intenzioni serie potrebbe non risultare infine del tutto infruttuoso di qualche utile osservazione su certe particolari cose.
Se ora, tanto per chiudere in bellezza, concludessimo che nell’arte attuale si manifestano tutti i sintomi (che ovviamente possono anche presentarsi ripugnanti come la merda dell’artista Piero Manzoni) di un suo passaggio ad una fase diversa, o addirittura della sua propria necessità di un modo di produzione superiore, diremmo magari qualcosa di gradito ma privo di sostanza.[49]
Non volendo quindi contrabbandare affermazioni enfatiche per dimostrazione pratiche, il compito che ci spetta sarà quello di inseguire l’arte sul suo proprio terreno per sottoporla alla nostra critica.
Non staremo a giudicare il lavoro di artisti rinomati o di ogni altra produzione artistica di quest’epoca, e nemmeno faremo pettegolezzi sulle loro vicissitudini private, ecc., ma dovremmo proprio interrogarci se e come le  forme e i modi dell’arte attuali possono fornirci la chiave per conoscere l’arte passata; ma soprattutto – dato che noi conosciamo in anticipo la forma futura della società – se è possibile individuare nei modi attuali dell’arte, appunto quegli elementi che accennano a qualcosa di superiore, così nella società come nell’arte.
Quello che pure ci interessa è comprendere come l’arte si è preparata per il salto e al rovesciamento della sua propria prassi; ovvero, per dirla con le parole di Marx, quali saranno le rovine sulle quali e con i cui elementi si autocostruirà l’arte della società futura.
Non vogliamo però neppure tentare di capire quale particolare aspetto potrà avere l’arte nella società comunistica, perchè prima la facciamo finita con questa società e prima lo sapremo. Ma intanto crediamo di poter dire che il “deprecato” processo di mercificazione dell’arte ha separato molte ombre da altrettanti corpi, e adesso ci permette di possedere ben separati tutti gli elementi che la componevano, e questo consentirà di poterli ricombinare in condizioni sociali superiori.
Che attualmente l’arte manifesti una propria dissoluzione o esprima artisticamente la dissoluzione della forma sociale che la sta producendo, importa poco: ciò che importa è che nelle sue più recenti realizzazioni essa sembra proprio non avere più scampo.
Sappiamo tutti che non solo in certe penose condizioni dell’esistenza  l’uomo supplica la morte, ma la cerca anche serenamente quando è in salute;  magari dopo essere stato al cinema con l’amata moglie – come i coniugi Lafargue. Ecco: sembra proprio che l’arte, da oltre un secolo, non stia chiedendo altro  che dissolversi nel tempo di vita. Possiamo provarlo e lo proveremo ripercorrendo anche le fasi della sua storia. Ma l’istruttoria è lunga e oggi non abbiamo più tempo.
Sia intanto chiaro che noi ci riferiamo sempre ai nomi di artisti come indici di persone che hanno affrontato e svolto un "problema" specifico dell'arte, e dunque alle singole opere come "soluzioni" primarie di tali problemi; o anche solo per richiamare alla memoria determinate qualità formali ed evitarci di descriverle ogni volta. E sia altrettanto chiaro che da certe particolari opere, primarie (“capolavori”) o secondarie che siano, non ci interessa qui trarre emozioni: sono solo dei “fatti”, più o meno risolti, dei nodi più o meno sciolti, da cui dedurre... [50]
Fatta questa precisazione (per quanto allusiva di ulteriori argomenti) adesso possiamo pure salutarci tornando al Bill Viola da cui siamo partiti, per confrontare un suo filmato del 1978 con quelli più recenti, e constatare come a distanza di qualche decennio dobbiamo registrare un ripiegamento dell’americano; un ritorno al vecchio mondo, tanto dell’arte quanto della società – ritorno per altro da lui stesso glorificato per l’eternità a lettere cubitali sui muri del Palazzo Strozzi che ospitava i suoi lavori più recenti.

Mentre le sue opere come immagini filmate, e - concediamo - anche le emozioni dei suoi  filmati degli anni ottanta [51], nascevano ed erano strettamente legate alla natura del mezzo tecnico, quindi alla loro producibilità seriale e distribuzione diffusa (ubiquitaria), i suoi recenti  rinascimenti elettronici ri-nascono già formalmente belleffatti e risolti, fin nell’iconografia e iconologia dell’immagine come nell’emozione cristologica e nelle forme canoniche di un rettangolo monumentalizzato dall’unicità dell’opera e dalla specifica collocazione istituzionale.
Siano pure “rinascimenti” offerti in forma di spettacolo mesmeriano, noi li vediamo muoversi al passo sempre più corto dei tempi che invocano miracoli in salvezza dello stato attuale delle cose.
E se adesso l’Artista ha necessità di andarsi a rivitalizzare bazzicando sacrestie e antichi sepolcri, vuol dire che è proprio allo stremo e senza scampo – ma questo già lo sapevamo.
Invece, da parte sua l’Arte, in quanto tecnologia autonomizzata, non vuole scampo bensì soluzione; ma sa anche – come noi lo sappiamo – che

"una formazione sociale non scompare mai finché non si siano sviluppate tutte le forze produttive che essa è capace di creare..." [52]
Ecco sciolto il mistero di tutti i cadaveri che ancora camminano, sia pure quello dell’arte.



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[21] - K. Marx, Storia delle Teorie Economiche, I La teoria del plusvalore da William Petty a Adam Smith, ed. Einaudi, Torino 1954, pag. 396-97 – sottolineature nostre). Con l’occasione segnalo la parte subito successiva: “Oltre all’industria estrattiva, all’agricoltura e all’industria, esiste ancora una quarta sfera della produzione materiale, che percorre egualmente i differenti stadi dell’artigianato, della manifattura e dell’industria meccanica. E’ l’industria dei trasporti, sia degli uomini che  delle merci…”
[22] - Forme documentali, ri-produzioni dell’opera originale alla stregua delle incisioni popolari tratte da pittura classiche famose; forme equivoche, residuali della coazione mercantile...
[23] - Marx, Il Capitale, Libro Primo I, Editori Riuniti, Roma 1970, pag. 89.
[24] - Marx, Lineamenti..., op. cit. pag. 6.
[25] - Arthur C. Danto, La trasfigurazione del banale. Una filosofia dell’arte (1981), Laterza, Roma-Bari 2008.
[26] - Arthur C. Danto, “The Artworld”, Journal of Philosophy 61, n. 19 (1964).
[27] - “Ma la difficoltà non sta nell'intendere che l'arte e l'epos greco sono legati a certe forme dello sviluppo sociale. La difficoltà è rappresentata dal fatto che essi continuano a suscitare in noi un godimento estetico e costituiscono, sotto un certo aspetto, una norma e un modello inarrivabili”. (Karl Marx, Grundrisse der Kritik politischen Okonomie,1857-1858), in Lineamenti…, cit., p. 39-40.
[28] - Marx, Il Capitale, ed. Rinascita, Roma 1951, pag. 84.
[29] - Al proposito dell’aura, cfr. Walter Benjamin, L’opera d’arte nell’epoca della sua riprodicibilità tecnica, cit.
[30] - Marx, Lineamenti..., cit. pag. 30.
[31] - Marx, Opere filosofiche giovanili (1844), Editori Riuniti, Roma 1969, p. 205 (trad. di Galvano della Volpe).
[32] - I cabinets de curiosités o wunderkammer (presenti in tutta Europa dal XVI al XVIII secolo), che fin dall’epoca rinascimentale raccoglievano ed esponevano cose rare, nuove, singolari e meravigliose in un unico insieme etoroclito, nel XIX secolo perdono la loro importanza e si dissolvono, forse proprio in quanto i caratteri dei loro oggetti rari e meravigliosi si sono trasferiti ed estesi nel mondo industrializzato delle merci. Dei cabinets rimane tuttavia la figura incarnata della curiosité:  il collezionista, curioso delle cose d’arte e feticista compulsivo  appassionato di queste particolari merci. Daltronde all’oggetto ansioso (così l’influente critico americano Harold Rosenberg, teorico dell’action painting, definiva nel 1967 l’opera d’arte in un suo testo dal titolo omonimo) doveva necessariamente corrispondere un soggetto ansioso... di soddisfare nel proprio privato il piacere estetico... 
[33] - Il 21 maggio 1961 Piero Manzoni sigillò 90 barattoli di latta, identici a quelli per la carne in scatola, ai quali applicò un'etichetta, tradotta in varie lingue, con la scritta «Merda d'artista
. Contenuto netto gr. 30. Conservata al naturale».
Sulla parte superiore del barattolo è apposto un numero progressivo da 1 a 90, insieme alla firma dell'artista. L'artista mise a questi barattoli il prezzo corrispondente per 30 grammi di oro, alludendo al valore dell'artista che grazie ai meccanismi commerciali della società dei consumi poteva vendere al valore dell'oro una parte di se stesso. (dalla voce “merda d’artista” in Wikipedia).
[34] - (Dell’essere in quanto tale)
[35] - Lo faremo, e forse, a questo proposito, qualcosa è stata qui già detta di passaggio. 
[36] - I capitalisti realizzano i loro profitti, attraverso i loro profitti pagano gli scienziati ed i loro laboratori in cui sviluppano una parte della tecnologia e della scienza esatta che serve per questa tecnologia; poi pagano, con parte dei relativi ricavi pubblicitari, i professori universitari in modo che insegnino agli studenti universitari – i tecnocrati, i dirigenti, i tecnici dell'attività produttiva di domani – quelle soluzioni che più convengono all'interesse della società capitalista. Quindi anche nel campo scientifico della cosiddetta scienza positiva (che significherà poi "positiva"? non significa proprio niente) la probabilità di fesserie esiste ancora, non solo, ma è maggiore che nella religione e nella filosofia. Ora, il borghese potrebbe dire: "Ma le due categorie sono state, in certo modo, denicotinizzate dai grandiosi risultati della critica posteriore". È vero che, in un certo senso, l'opera più recente dirà cose migliori dell'opera più antica. E certamente si potrebbe pensare che Bacone dicesse cose più attendibili di quelle che non dicesse Galileo. Ma è molto da discutere che tutto questo sia vero, perché nel campo della scienza succede piuttosto il contrario: sono gli ultimi risultati, i più moderni, che sono i più fetenti e i più insidiosi. [Riunione di Firenze del 20 marzo 1960, ora in n+1, num. 15-16 Giu.Sett. 2004].
[37] - Cfr. quanto si dice a proposito de L’unico e la sua proprietà in Marx-Engels, L’ideologia tedesca, Editori Riuniti, Roma 1967, pag. 381 segg.
[38] - Ibidem, cit. pag. 97.
[39] - Così, ad esempio, riguardo la separazione nell’arte contemporanea dell’abilità tecnica dalla volontà artistica, pensiamo - al netto delle diverse motivazioni teoriche - a modalità realizzative come quelle di Malevich, che non distingueva affatto tra i quadri eseguiti da lui e quelli fatti dai suoi allievi, ad alcuni artisti del Bauhaus che intenzionalmente si limitavano a inviare dispacci operativi ai laboratori situati nello stesso edificio, o ancora ad altri che comunicavano per telefono le indicazioni per far realizzare l’opera che avevano immaginato e che non volevano vedere prima di essere stata eseguita da altri... 
[40] - Marx, Il Capitale, cit., Libro primo, Sezione prima, Capitolo secondo, pag. 107 (pag. 174, ed. De Agostini 2013, cura Macchioro-Maffi).
[41] - Marx, Lineamenti..., cit. pag.32.
[42] - (la comprensione e la conoscenza procedono all’inverso della freccia del tempo: dal presente verso il passato, e sempre inducono nel verso che dal presente punta al futuro – se del futuro però se ne hanno sufficienti indizi già nel presente).
[43] - In tanti millenni passati certamente una mela era stata vista cadere da tanti, ma non ha avuto gli stessi sviluppi di quella vista da Newton in circostanze storiche determinate... - Un criterio che preleviamo dal testo di Worringer (citato nella seconda parte), è l’utile distinzione tra la storia dell’arte intesa come una storia del saper fare (Können) o come una storia del voler fare (Wollen) e ai diversi orientamenti che prende tale voler fare (stile). E’ il voler fare arte (...) che discrimina e misura l’attitudine all’arte di una produzione, la quale non ha nulla in comune con l’abilità manuale necessaria a dare un aspetto approssimativamente umano ad un grumo di argilla o a un pezzo di legno. (ricordiamo il ruolo dello scopo: lavorare una pietra per la macina, per una figura, per una forma, ecc.). Possiamo così evitare prevedibili obiezioni tese ad includere tra i fenomeni artistici gli scarabocchi dei bambini o la produzione meramente compulsiva o ludica di oggetti d’arte (i quali hanno finalità lenitive personali, quasi sempre circoscritte nel tempo e prive di sviluppi) sulla mera base del loro apparire simili a molte opere d’arte moderne. (anche: mimesi, mimetica, adattamento, selezione commerciale, ecc...)
[44] - Non è mai abbastanza ricordare che “Il comunismo per noi non è uno stato di cose che debba essere instaurato, un ideale al quale la realtà dovrà conformarsi. Chiamiamo comunismo il movimento reale che abolisce lo stato di cose presente. Le condizioni di questo movimento risultano dal presupposto ora esistente” (K. Marx-F. Engels, L’ideologia tedesca, Editori Riuniti, Roma, 1971, pag. 25 – la sottolineatura è nostra).
[45] - Ibidem, pag. 24.
[46] - Il destino finale del declinare e dissolversi delle abilità individuali nella produzione capitalistica è già tutto contenuto fin dall’inizio della manifattura: “Nell’artigianato il problema è della qualità del prodotto e della particolare abilità del singolo lavoratore; e il maestro è tale solo per aver raggiunto la maestria in questa abilità. La sua posizione di maestro poggia non solo sul suo possesso dei mezzi di produzione ma anche sulla sua abilità personale il quel particolare lavoro. Nella produzione del capitale il problema, fin dall’inizio, non è di questo rapporto semiartigianale – che in generale corrisponde al valore d’uso del lavoro, allo sviluppo della particolare capacità del lavoro manuale immediato, alla educazione della mano umana ecc. al lavoro. Il problema, fin dall’inizio, è piuttosto un problema di massa, perché è un problema di valore di scambio e di plusvalore. Il principio sviluppato del capitale è appunto quello di rendere superflua l’abilità particolare, e di rendere superfluo il lavoro manuale, il lavoro immediatamente fisico in generale sia come lavoro abile sia come sforzo muscolare; anzi, è il principio di relegare l’abilità nelle forze naturali morte.” (Marx, Lineamenti…, Quaderno VI, op. cit., vol.II, pag. 245). E’ anche in questo senso che troviamo conferma del fatto che il capitale rivoluziona sé stesso e prepara le generali condizioni pratiche della sua propria negazione. 
[47] - Contiamo di trattare in seguito questa controversia.
[48] - Anche qui stiamo pensando a dei fatti artistici che anticipano questa ipotesi, come il carattere “pedagogico” dell’arte moderna (Klee, Kandinskij, Bauhaus), o anche le istruizioni date per telefono o altro mezzo, descritte qui nella nota 37.
[49] - “Avevo buttato giù una introduzione generale, ma poi, dopo matura riflessione, l’ho eliminata: mi sembrava infatti che l’anticipare delle soluzioni che dovevano essere ancora dimostrate poteva costituire un elemento di disturbo per il lettore, il quale, se è bene intenzionato a seguirmi, deve decidersi a procedere dal particolare al generale”. (Marx, dalla Prefazione a Per la critica..., cit. pag. 29). 
[50] - Diciamo “più o meno” perchè non possiamo considerarle definitive, poiché spesso alcuni problemi primari si ripresentano, con altre ulteriori facce problematiche, in epoche successive. Le forme secondarie e succedanee - la cui presenza è una massa elevata in ogni civiltà - sarebbero riproduzioni, copie, repliche eseguite sulla base di soluzioni formali già fatte per risolvere ad ulteriori funzioni sociali. - Avremo modo di discuterne questo criterio di classificazione in un ambito più generale, anche con riferimento ad un testo del 1972 dello storico dell’arte George Kubler La forma del tempo, che riteniamo ricco di stimolanti affinità con il nostro pensiero. 
[51] - Come in The Reflecting Pool (Vasca riflettente) del 1977-1979. Vedi sopra un brano dal video originale. (Qui ad esempio, il problema affrontato potrebbe essere stato ancora quello della rappresentazione dello spazio, simile a quello che portò alla soluzione della prospettiva quattrocentesca... con l'aggiunta moderna del tempo...) - Per rivedere il filmato dall'inizio ricaricare la pagina.
[52] - Marx, Per la critica..., cit. pag. 32.
Tuttavia: "Lo sviluppo delle forze produttive del lavoro sociale è il compito storico e la legittimazione del capitale. Appunto così essso crea inconsciamente le condizioni materiali di una forma di produzione superiore... In modo puramente economico, cioè dal punto di vista borghese, nei limiti delle capacità di comprensione capitalistiche, dall'angolo visuale della produzione capitalistica, qui si rivelano i suoi confini, la sua relatività, il fatto che esso non è un modo di produzione assoluto, ma soltanto storico, corrispondente ad una certa e limitata epoca di sviluppo delle condizioni materiali della produzione." (Marx, Il Capitale, Libro III, parte I, sez. III, cap. XV, pag. 331, Ed. De Agostini, Novara 2013). O anche:
“Proprio dalla legge del valore e dal suo fondamento – il tempo di lavoro – partono gli elementi di dissoluzione e le contraddizioni che minano la base fondamentale del capitalismo, generando il germe del superiore modo comunista nel seno stesso della produzione capitalistica allorché la valorizzazione si trasforma in svalorizzazione” (Le forme di produzione successive nella teoria marxista, Edizioni 19/75, Torino 1980, pag. 229).
Per il momento, tanto può bastare per confortarci nel nostro tentativo di dare uno sguardo allo stato attuale delle cose dell’arte nelle pastoie del capitalismo che ha esaurita la sua spinta storica.

IMMAGINI Colonna 1, dall'alto:
[F04] - Sala di Palazzo Strozzi con l’affresco di Masolino del 1424 messo a confronto con il lavoro Bill Viola, Emergence (Emersione), durata 11’40”: Retroproiezione video a colori ad alta definizione su schermo montato a parete in una stanza buia. Interpreti: Weba Garretson, John Hay, Sarah Steben.
IMMAGINI Colonna 2, dall'alto:
[F05] - Da sinistra, foto di Stieglitz dell’opera originale perduta di Marcel Duchamp del 1917, ready-made, porcellana cm. 61×48×38; a destra, Handy Warhol, Brillo Soap (Pads Boxes), 1964, vernice polimera sintetica e serigrafia su legno compensato.
[F06] - Piero Manzoni nel 1961, tra le sue scatolette.
[F07] - Sequenza da The Reflecting Pool (Vasca riflettente) di Bill Viola, 1977-1979, Videotape, colore, audio monofonico, durata 7’00”.
[F08] - L’opera di Bill Viola del 2014, Martyrs (Earth, Air, Fire, Water), sistemata nella cattedrale londinese di Saint Paul, nel momento della celebrazione del mistero Eucaristico.
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